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Giustizia riparativa: l’orientamento della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 24343 depositata il 20 giugno 2024, ha espresso un importante principio circa la disciplina introdotta dalla riforma “Cartabia” (D.L. 150/2022) in materia di Giustizia Riparativa.

Il caso concreto deciso dalla Suprema Corte presenta un aspetto peculiare: l’imputato aveva presentato alla Corte di Appello domanda di ammissione a programma di giustizia riparativa in calce ad istanza di concordato[1] ex art. 599 bis comma 3 c.p.p., formulata con rinunzia a motivi ed insistendo solo per quelli afferenti la applicazione delle attenuanti generiche prevalenti. La Corte di Appello aveva respinto l’istanza di accesso alla Giustizia Riparativa e l’interessato ha presentato ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte ha statuito che la domanda di accesso alla giustizia riparativa “non può ritenersi parte integrante del patto di concordato, così che la decisone della corte di non sospendere il procedimento ” a fronte di una richiesta di ammissione alla giustizia riparativa ” non integra alcuna violazione degli evocati artt. 589 e 599 bis cod. proc. pen”.

Il punto di maggiore interesse della sentenza è la seguente affermazione: “il procedimento riparativo non è un procedimento giurisdizionale: il programma riparativo e le attività che gli sono propri appartengono non al procedimento/processo penale, quanto piuttosto all’ordine di un servizio pubblico di cura della relazione tra persone, non diversamente da altri servizi di cura relazionale ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale.”

 

Secondo il Supremo consesso, quindi, i neo-nati (o nascituri) Centri di Giustizia riparativa sono equiparabili ai SERD o ai Servizi sociali.

Va detto per inciso, che tale affermazione pare contraddetta dal fatto che tali istituti sono compiutamente disciplinati dal D.L. 150/2022, art. 63-67.

Ad ogni modo, questa premessa è funzionale a concludere che il diniego del Giudice all’accesso degli interessati alla Giustizia Riparativa ha natura discrezionale, non gravata da alcun onere motivazionale, e non è un atto impugnabile (nello stesso senso si era espressa Cassazione Penale n. 6595/2024), il che rende il Giudice dominus assoluto, libero da qualsiasi vincolo e controllo, in materia di accesso alla Giustizia Riparativa.

A sommesso parere di chi scrive, questa conclusione non è in sintonia con il favor, espresso dal legislatore della novella, in materia di Giustizia riparativa.

Tale orientamento rappresenta senza dubbio un “paletto” con l’effetto di frenare l’avvio dei programmi di Giustizia Riparativa che già devono fronteggiare due problemi di non facile e, soprattutto, immediata soluzione:

  • ritardi organizzativi accumulati sul fronte della istituzione dei Centri per la giustizia riparativa;
  • accreditamento dei mediatori.

Nel dettaglio, il tenore del primo comma dell’art. 129 bis c.p.p. (“l’autorità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia riparativa”) sembrerebbe in sintonia con l’orientamento sopraccitato.

Tale norma, a ben vedere, deve essere letta unitamente al terzo comma del medesimo articolo, secondo il quale il Giudice avvia le parti alla Giustizia Riparativa in presenza di due condizioni:

  • utilità dello svolgimento di un programma di giustizia riparativa alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede;
  • assenza di pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti.

Questi criteri, dunque, dovrebbero informare l’attività del Giudice in materia di accesso alla Giustizia Riparativa ma la norma appare essere inutiliter data se, come sostiene al Corte di Cassazione, la sua decisione è discrezionale e non oggetto di impugnazione.

[1] Con il c.d. concordato sui motivi di appello, l’imputato rappresenta alla Corte di Appello che, con il consenso del Procuratore Generale, è stato concordato l’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi d’appello con rinuncia agli altri eventuali motivi, proponendo al giudice, se del caso, una nuova determinazione della pena.

 

contributo a cura di Camera Penale Veronese